Anche dopo la fine delle Olimpiadi originali, per moltissimi secoli la religione è stata un elemento dominante nella pratica sportiva. Il trionfo dell’uomo sulle difficoltà e lo sforzo fisico per superare i propri limiti erano un tutt’uno con la celebrazione delle divinità che permettevano di vincere o infrangere record.
Anche presso i Romani, che pure non gareggiavano come i Greci, era sempre un dio, Marte, ad avere un occhio benevolo per chi si allenava in suo nome: i giovanissimi avviati all’addestramento militare in quello che a Roma oggi si chiama Campo Marzio, il campo di Marte, l’area dedicata alla celebrazione del dio della guerra.
Lo sport e il Cristianesimo
Se l’organizzazione sportiva romana non prevedeva Olimpiadi, aveva però lo sport al centro dei propri pensieri: esistevano palestre, e teatri e circhi ospitavano gare di lotta fra gladiatori, oppure di corsa con i carri (proprio come quella di “Ben Hur”!).
Con il crollo dell’impero tutto ciò scompare, anche per via dell’avanzare del Cristianesimo. Nel dare più importanza allo spirito rispetto al fisico, infatti, la nuova religione automaticamente bolla lo sport come un rito pagano da condannare.
Solo nel Medioevo troviamo maggiori tracce documentali di giochi di abilità (che altro non sono che sport!) spesso praticati durante quelle che oggi non esiteremmo a definire come “manifestazioni”: feste religiose, essenzialmente.
Pensiamo al Palio di Siena: c’è la competizione (la gara di corsa a cavallo), il premio per il vincitore, il riconoscimento pubblico. Tutto in nome della Madonna, che evidentemente sostituisce le antiche divinità pagane.
Addio ai connotati religiosi
Tutto cambia con l’ingresso nell’età moderna: in maniera definitiva, è solo dal Rinascimento in avanti che ci si svincola dall’idea che la celebrazione sportiva e religiosa siano separabili. Merito degli intellettuali che riscoprono e celebrano la cultura greca antica.